Nella mia famiglia si sono fuse due grandi tradizioni culinarie: da parte di mamma, quella romana di mia nonna Annita (ci teneva alla doppia N nel nome) che ha vissuto con noi fino ad 88 anni, e quella bolognese, da parte di papà, con nonna Clara che non ho mai conosciuto. Era di Budrio, trasferita a Roma da ragazza con la famiglia, e da sua madre aveva appreso le tradizioni poi passate da lei alla figlia, mia zia Silvana.

Le festività natalizie per me, per 40 anni, si sono sempre condensate nel giorno di Natale, quando si andava tutti a casa di mia zia per il pranzo. Abitava alla Pisana, nella parte alta. C’era una salita così ripida che la Cinquecento a pieno carico non ce la faceva, i passeggeri dovevano scendere e farsela a piedi. La casa era molto grande con un ingresso spazioso in cui svettava, in un angolo, l’albero di Natale. Alto fino al soffitto con il puntale rosso, pieno di palle di vetro, festoni, luci e tantissimi regali incartati per terra, esattamente come tutti pensano che debba essere un vero albero di Natale.

Momento più elevato della giornata era il primo piatto, i tortellini in brodo che si mangiavano una sola volta l’anno e solo in occasione del pranzo del 25 dicembre. In questo prodotto unico della nostra cucina è il ripieno ciò che fa la differenza e io, in tutti quegli anni, non sono mai stato ammesso alla sua preparazione. A vent’anni mi hanno accettato per stendere la pasta con la macchinetta (quindi a girare una manovella) e solo dopo tre anni di giramento sono passato al taglio della sfoglia, per preparare i quadrati, e poggiare la pallina di ripieno sopra. Non altro. La chiusura del tortellino è arrivata ai miei 30 anni. Una specie di iniziazione misterica.

Dieci anni fa mia zia smise di farli, troppo impegno. Poi il tempo ha portato via la sua memoria e quindi non abbiamo neanche più festeggiato il Natale da lei. Prima però che i ricordi svanissero le chiesi la ricetta del ripieno perché a Natale volevo continuare questa tradizione e mangiare i suoi tortellini. Mi elencò esattamente tutti gli ingredienti: lombo di maiale, mortadella di Bologna, prosciutto di Parma, parmigiano Reggiano, uova, sale, pepe e noce moscata. Durante una lunga spiegazione di un intero pomeriggio mi svelò poi le proporzioni e come preparare l’impasto.

Mi ricordo benissimo il suo sorriso alla fine della chiacchierata, era come se da quel giorno lei continuasse con me, come sua madre era continuata attraverso lei. Era il passaggio del testimone. La cucina è arte, è identità del territorio, è la memoria dei sapori che non svaniscono con il tempo. Le persone che abbiamo amato sono legate ai sapori dei piatti che prepariamo, e per questo abbiamo l’obbligo di tramandarli.

Ormai sono sei anni che preparo i tortellini, senza arrivare ancora alla perfezione di mia zia. Il giorno di Natale è ora tradizione riunirsi a casa mia e mangiarli: “……eh!, ma non sono ancora come quelli di zia Silvana! ”.

di Aldo Del Sordo il gastroflumen