Perchè gli uomini, a Natale, dovrebbero mangiare un serpente, o meglio, un animale che gli somiglia, come il capitone? Un antropologo lo spiegherebbe con la necessità di esorcizzare il male, un modo per fagocitare ed allontanare il Maligno, il simbolo della vittoria dell’uomo sul Serpente del Peccato Originale. Farlo poi proprio durante il periodo natalizio avvalora sia la tesi taumaturgica che il rito propiziatorio per un nuovo anno felice e sereno. Al contrario, uno scenziato vedrebbe la cosa molto più semplicemente: un gruppo di uomini più o meno preistorici che vicino a Comacchio accendono un fuoco per riscaldarsi. Stanno pescando e catturano un pesce dalla forma affusolata. Ha la pelle molto viscida e gli scappa dalle mani. Finisce sul fuoco. Si accorgono che quel pesce alla brace è ottimo, e tutto inizia da lì.
Il mio primo ricordo del capitone è a 5 anni, nuotava nella vasca da bagno di casa. Siamo negli anni ’60. A Natale era d’obbligo cucinarlo; le tradizioni vanno rispettate e tramandate. Una decina di giorni prima delle festività si andava al mercato del Trionfale. La scelta del capitone non era semplice, c’erano parecchi parametri da rispettare: doveva essere poco più lungo di un metro, avere il colorito bruno della pelle, la testa schiacciata e secondo mia nonna essere ‘vivace’. “Sai – mi raccontava – quando abitavamo all’Arco della Pace, tutti i capitoni si tenevano insieme nelle vasche dei lavatoi. Non si sa com’è, Ermelinda, la perpetua di don Marcello, comprava quello più piccolo, lo metteva su con gli altri e poi nel piatto del prete finiva sempre quello più grosso. Lei diceva che la notte saliva a dargli il pane ed è per quello che il suo si ‘abbottava’. Alla fine però, per riconoscerli, ognuno legava un’accia di filo colorato alla coda del proprio.”
I miei genitori con mia nonna, si trasferirono nel ’59 a Prati lasciando Piazza Navona. Nel nuovo palazzo i lavatoi si potevano usare solo per i panni. Si trovò subito un’alternativa: il capitone albergava nella nostra vasca da bagno. Per una settimana circa gli davo da mangiare gamberetti e piccoli molluschi; l’acqua si cambiava quotidianamente.
Magicamente però il giorno della Vigilia di Natale il capitone ‘scappava’ dal buco dello scarico.
La mattina uscivo per andare a scuola passavo in bagno e lo salutavo e al ritorno, per casa, già si sentiva l’odore del pesce cucinato che sarebbe stato servito la sera e il capitone non c’era più.
Questa fuga misteriosa si ripeté per tre anni di seguito: “Ma scusa nonna, sono tre anni che compriamo il capitone e tutte le volte ci scappa!” “Cosa vuoi fare, sono anziana e a volte mi dimentico le cose, non ho messo il tappo… e lui è stato veloce, ha scelto la libertà”.
L’anno successivo il capitone scappò anche dal menù della Vigilia, entrò il baccalà.
Ma questa è un’altra storia.