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  • Raccontato da Carla Vaudo Nel pensiero medievale ogni oggetto materiale era considerato come la figurazione di qualcosa che gli corrispondeva su un piano più elevato e che diventava così il suo simbolo. Il simbolismo era universale, e il pensare era una continua scoperta di significati nascosti, una costante “ierofania”. La ricerca di questa Manifestazione del Divino diventa visibile e tangibile in affreschi, sculture, miniature che permettono a noi moderni di entrare nella mente degli uomini del Medioevo, nelle immagini che riempivano le loro veglie e i loro sogni, elaborati nel tentativo di interpretare il mondo terreno e ultraterreno. In questo ciclo di 7 video-conferenze Carla Vaudo affronta un viaggio intenso e avvincente nella ricchezza dell’immaginario medievale.
  • Raccontato da Carla Vaudo Nel pensiero medievale ogni oggetto materiale era considerato come la figurazione di qualcosa che gli corrispondeva su un piano più elevato e che diventava così il suo simbolo. Il simbolismo era universale, e il pensare era una continua scoperta di significati nascosti, una costante “ierofania”. La ricerca di questa Manifestazione del Divino diventa visibile e tangibile in affreschi, sculture, miniature che permettono a noi moderni di entrare nella mente degli uomini del Medioevo, nelle immagini che riempivano le loro veglie e i loro sogni, elaborati nel tentativo di interpretare il mondo terreno e ultraterreno. In questo ciclo di 7 video-conferenze Carla Vaudo affronta un viaggio intenso e avvincente nella ricchezza dell’immaginario medievale.
  • Raccontato da Carla Vaudo Nel pensiero medievale ogni oggetto materiale era considerato come la figurazione di qualcosa che gli corrispondeva su un piano più elevato e che diventava così il suo simbolo. Il simbolismo era universale, e il pensare era una continua scoperta di significati nascosti, una costante “ierofania”. La ricerca di questa Manifestazione del Divino diventa visibile e tangibile in affreschi, sculture, miniature che permettono a noi moderni di entrare nella mente degli uomini del Medioevo, nelle immagini che riempivano le loro veglie e i loro sogni, elaborati nel tentativo di interpretare il mondo terreno e ultraterreno. In questo ciclo di 7 video-conferenze Carla Vaudo affronta un viaggio intenso e avvincente nella ricchezza dell’immaginario medievale.
  • Raccontato da Carla Vaudo Nel pensiero medievale ogni oggetto materiale era considerato come la figurazione di qualcosa che gli corrispondeva su un piano più elevato e che diventava così il suo simbolo. Il simbolismo era universale, e il pensare era una continua scoperta di significati nascosti, una costante “ierofania”. La ricerca di questa Manifestazione del Divino diventa visibile e tangibile in affreschi, sculture, miniature che permettono a noi moderni di entrare nella mente degli uomini del Medioevo, nelle immagini che riempivano le loro veglie e i loro sogni, elaborati nel tentativo di interpretare il mondo terreno e ultraterreno. In questo ciclo di 7 video-conferenze Carla Vaudo affronta un viaggio intenso e avvincente nella ricchezza dell’immaginario medievale.
  • Raccontato da Barbara Di Lorenzo 24 agosto del 79 dC, è la data, secondo l’interpretazione tradizionale del testo di Plinio, dell’inizio della più famosa e tragica eruzione vulcanica dell’umanità. È il giorno in cui il cono del Vesuvio esplose rovesciando nella popolazione di un bellissimo territorio, fertile e ospitale, una nube di morte che non lasciò scampo. Di questo, tra noi moderni, ancora si parla perché il mondo che scorreva tranquillo fino a quella funesta giornata, proprio grazie a questo evento straordinariamente letale è rimasto bloccato nel tempo. Sembra quasi che il sacrificio di Pompei, Ercolano e di tante altre cittadine fosse stato deciso da un destino storico per farci conoscere realmente, come mai in nessun altro antico monumento o insediamento umano, la vita dei nostri predecessori. Per conoscere Roma, le cui antiche tracce sono state per gran parte distrutte o spogliate, si dice che bisogna vedere Pompei dove tutto è rimasto come in un giorno d’estate del I secolo dopo Cristo. E questo giorno, nel racconto di Barbara Di Lorenzo, lo vogliamo rivivere passeggiando nelle strade della città e tra i suoi abitanti indaffarati nelle loro quotidiane occupazioni, inconsapevoli di ciò che stava per accadere.
  • Raccontato da Barbara Di Lorenzo 24 agosto del 79 dC, è la data, secondo l’interpretazione tradizionale del testo di Plinio, dell’inizio della più famosa e tragica eruzione vulcanica dell’umanità. È il giorno in cui il cono del Vesuvio esplose rovesciando nella popolazione di un bellissimo territorio, fertile e ospitale, una nube di morte che non lasciò scampo. Di questo, tra noi moderni, ancora si parla perché il mondo che scorreva tranquillo fino a quella funesta giornata, proprio grazie a questo evento straordinariamente letale è rimasto bloccato nel tempo. Sembra quasi che il sacrificio di Pompei, Ercolano e di tante altre cittadine fosse stato deciso da un destino storico per farci conoscere realmente, come mai in nessun altro antico monumento o insediamento umano, la vita dei nostri predecessori. Per conoscere Roma, le cui antiche tracce sono state per gran parte distrutte o spogliate, si dice che bisogna vedere Pompei dove tutto è rimasto come in un giorno d’estate del I secolo dopo Cristo. E questo giorno, nel racconto di Barbara Di Lorenzo, lo vogliamo rivivere passeggiando nelle strade della città e tra i suoi abitanti indaffarati nelle loro quotidiane occupazioni, inconsapevoli di ciò che stava per accadere.
  • Raccontato da Barbara Di Lorenzo 24 agosto del 79 dC, è la data, secondo l’interpretazione tradizionale del testo di Plinio, dell’inizio della più famosa e tragica eruzione vulcanica dell’umanità. È il giorno in cui il cono del Vesuvio esplose rovesciando nella popolazione di un bellissimo territorio, fertile e ospitale, una nube di morte che non lasciò scampo. Di questo, tra noi moderni, ancora si parla perché il mondo che scorreva tranquillo fino a quella funesta giornata, proprio grazie a questo evento straordinariamente letale è rimasto bloccato nel tempo. Sembra quasi che il sacrificio di Pompei, Ercolano e di tante altre cittadine fosse stato deciso da un destino storico per farci conoscere realmente, come mai in nessun altro antico monumento o insediamento umano, la vita dei nostri predecessori. Per conoscere Roma, le cui antiche tracce sono state per gran parte distrutte o spogliate, si dice che bisogna vedere Pompei dove tutto è rimasto come in un giorno d’estate del I secolo dopo Cristo. E questo giorno, nel racconto di Barbara Di Lorenzo, lo vogliamo rivivere passeggiando nelle strade della città e tra i suoi abitanti indaffarati nelle loro quotidiane occupazioni, inconsapevoli di ciò che stava per accadere.
  • Raccontato da Barbara Di Lorenzo 24 agosto del 79 dC, è la data, secondo l’interpretazione tradizionale del testo di Plinio, dell’inizio della più famosa e tragica eruzione vulcanica dell’umanità. È il giorno in cui il cono del Vesuvio esplose rovesciando nella popolazione di un bellissimo territorio, fertile e ospitale, una nube di morte che non lasciò scampo. Di questo, tra noi moderni, ancora si parla perché il mondo che scorreva tranquillo fino a quella funesta giornata, proprio grazie a questo evento straordinariamente letale è rimasto bloccato nel tempo. Sembra quasi che il sacrificio di Pompei, Ercolano e di tante altre cittadine fosse stato deciso da un destino storico per farci conoscere realmente, come mai in nessun altro antico monumento o insediamento umano, la vita dei nostri predecessori. Per conoscere Roma, le cui antiche tracce sono state per gran parte distrutte o spogliate, si dice che bisogna vedere Pompei dove tutto è rimasto come in un giorno d’estate del I secolo dopo Cristo. E questo giorno, nel racconto di Barbara Di Lorenzo, lo vogliamo rivivere passeggiando nelle strade della città e tra i suoi abitanti indaffarati nelle loro quotidiane occupazioni, inconsapevoli di ciò che stava per accadere.
  • Raccontato da Barbara Di Lorenzo 24 agosto del 79 dC, è la data, secondo l’interpretazione tradizionale del testo di Plinio, dell’inizio della più famosa e tragica eruzione vulcanica dell’umanità. È il giorno in cui il cono del Vesuvio esplose rovesciando nella popolazione di un bellissimo territorio, fertile e ospitale, una nube di morte che non lasciò scampo. Di questo, tra noi moderni, ancora si parla perché il mondo che scorreva tranquillo fino a quella funesta giornata, proprio grazie a questo evento straordinariamente letale è rimasto bloccato nel tempo. Sembra quasi che il sacrificio di Pompei, Ercolano e di tante altre cittadine fosse stato deciso da un destino storico per farci conoscere realmente, come mai in nessun altro antico monumento o insediamento umano, la vita dei nostri predecessori. Per conoscere Roma, le cui antiche tracce sono state per gran parte distrutte o spogliate, si dice che bisogna vedere Pompei dove tutto è rimasto come in un giorno d’estate del I secolo dopo Cristo. E questo giorno, nel racconto di Barbara Di Lorenzo, lo vogliamo rivivere passeggiando nelle strade della città e tra i suoi abitanti indaffarati nelle loro quotidiane occupazioni, inconsapevoli di ciò che stava per accadere.
  • Con Marco Mancini I popoli italici detti Osco-Umbri (o Umbro-Sabelli) per le loro lingue scesero in Italia tra il X e l'VIII secolo a.C. L'osco, la lingua dei Sanniti o Sabelli, si diffuse nel Sannio, un'ampia zona con centro in Molise, ma che si estendeva in Abruzzo e Campania. L'umbro si parlava, invece, nella valle dell'alto Tevere. Alcuni storici considerano Italici anche i Latino-Siculi, stanziati in Italia centro-meridionale e in Sicilia dal III millennio a.C., che praticavano l'inumazione dei morti, cioè li seppellivano in fosse, e parlavano dialetti di una lingua comune. Tra questi il più importante fu il latino, che diventò la lingua dei Romani. Gli Osco-Umbri si distribuirono nell'Italia centro-meridionale. Gli Italici migravano frequentemente, quando la popolazione aumentava e le risorse non erano sufficienti per il suo sostentamento. Gli spostamenti seguivano talvolta rituali religiosi, come quello del Ver sacrum ("primavera sacra"): in primavera, dopo avere compiuto sacrifici rituali, i giovani migravano in cerca di nuove terre. A volte seguivano gli spostamenti di un animale sacro. Secondo la tradizione, il Piceno fu raggiunto dagli Umbri Picenti che seguivano il volo di un picchio (in latino picus), che era una loro divinità. I popoli italici furono progressivamente sottomessi dall'emergente potenza romana. Furono sconfitti uno dopo l'altro e costretti ad allearsi o a sottomettersi a Roma. I primi furono i Latini e gli altri popoli del Lazio (gli Equi, sconfitti da Cincinnato, e i Volsci, battuti da Coriolano), assorbiti dallo Stato romano nel V secolo a.C.; poi fu la volta dei Sanniti con le tre guerre sannitiche (IV -III secolo a.C.); quindi i Bruzi, i Sabini e gli Umbri (III secolo a.C.). Ai tempi delle guerre puniche (III-II secolo a.C.) pressoché tutti gli Italici erano federati dei Romani.
  • Con Marco Mancini I popoli italici detti Osco-Umbri (o Umbro-Sabelli) per le loro lingue scesero in Italia tra il X e l'VIII secolo a.C. L'osco, la lingua dei Sanniti o Sabelli, si diffuse nel Sannio, un'ampia zona con centro in Molise, ma che si estendeva in Abruzzo e Campania. L'umbro si parlava, invece, nella valle dell'alto Tevere. Alcuni storici considerano Italici anche i Latino-Siculi, stanziati in Italia centro-meridionale e in Sicilia dal III millennio a.C., che praticavano l'inumazione dei morti, cioè li seppellivano in fosse, e parlavano dialetti di una lingua comune. Tra questi il più importante fu il latino, che diventò la lingua dei Romani. Gli Osco-Umbri si distribuirono nell'Italia centro-meridionale. Gli Italici migravano frequentemente, quando la popolazione aumentava e le risorse non erano sufficienti per il suo sostentamento. Gli spostamenti seguivano talvolta rituali religiosi, come quello del Ver sacrum ("primavera sacra"): in primavera, dopo avere compiuto sacrifici rituali, i giovani migravano in cerca di nuove terre. A volte seguivano gli spostamenti di un animale sacro. Secondo la tradizione, il Piceno fu raggiunto dagli Umbri Picenti che seguivano il volo di un picchio (in latino picus), che era una loro divinità. I popoli italici furono progressivamente sottomessi dall'emergente potenza romana. Furono sconfitti uno dopo l'altro e costretti ad allearsi o a sottomettersi a Roma. I primi furono i Latini e gli altri popoli del Lazio (gli Equi, sconfitti da Cincinnato, e i Volsci, battuti da Coriolano), assorbiti dallo Stato romano nel V secolo a.C.; poi fu la volta dei Sanniti con le tre guerre sannitiche (IV -III secolo a.C.); quindi i Bruzi, i Sabini e gli Umbri (III secolo a.C.). Ai tempi delle guerre puniche (III-II secolo a.C.) pressoché tutti gli Italici erano federati dei Romani.
  • Con Marco Mancini I popoli italici detti Osco-Umbri (o Umbro-Sabelli) per le loro lingue scesero in Italia tra il X e l'VIII secolo a.C. L'osco, la lingua dei Sanniti o Sabelli, si diffuse nel Sannio, un'ampia zona con centro in Molise, ma che si estendeva in Abruzzo e Campania. L'umbro si parlava, invece, nella valle dell'alto Tevere. Alcuni storici considerano Italici anche i Latino-Siculi, stanziati in Italia centro-meridionale e in Sicilia dal III millennio a.C., che praticavano l'inumazione dei morti, cioè li seppellivano in fosse, e parlavano dialetti di una lingua comune. Tra questi il più importante fu il latino, che diventò la lingua dei Romani. Gli Osco-Umbri si distribuirono nell'Italia centro-meridionale. Gli Italici migravano frequentemente, quando la popolazione aumentava e le risorse non erano sufficienti per il suo sostentamento. Gli spostamenti seguivano talvolta rituali religiosi, come quello del Ver sacrum ("primavera sacra"): in primavera, dopo avere compiuto sacrifici rituali, i giovani migravano in cerca di nuove terre. A volte seguivano gli spostamenti di un animale sacro. Secondo la tradizione, il Piceno fu raggiunto dagli Umbri Picenti che seguivano il volo di un picchio (in latino picus), che era una loro divinità. I popoli italici furono progressivamente sottomessi dall'emergente potenza romana. Furono sconfitti uno dopo l'altro e costretti ad allearsi o a sottomettersi a Roma. I primi furono i Latini e gli altri popoli del Lazio (gli Equi, sconfitti da Cincinnato, e i Volsci, battuti da Coriolano), assorbiti dallo Stato romano nel V secolo a.C.; poi fu la volta dei Sanniti con le tre guerre sannitiche (IV -III secolo a.C.); quindi i Bruzi, i Sabini e gli Umbri (III secolo a.C.). Ai tempi delle guerre puniche (III-II secolo a.C.) pressoché tutti gli Italici erano federati dei Romani.
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