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  • Raccontato da Carla Vaudo

    Una rete di abbazie e monasteri fiorisce in tutta Europa: sulle vette delle montagne, nelle vallate verdeggianti, sulle isole, nelle campagne, in prossimità delle città. Luoghi di spiritualità e di potere, garanti della forza inarrestabile della preghiera, centri di cultura e di elaborazione di nuove forme artistiche e architettoniche, a creare nel mondo un luogo a misura di Dio.

    A partire dal V secolo, da quando incomincia la lenta ma inesorabile chiusura del sipario sui fasti millenari dell’epopea di Roma, essi diventano piano piano imprescindibili punti di riferimento degli scenari in cui andranno giocandosi le nuove vicende religiose, culturali, politiche ed economiche del continente.

    L’Italia è la culla di un’esperienza cenobitica di suprema importanza per la storia d’Europa: quella iniziata da San Benedetto da Norcia (480-549), alla quale si affiancano la tradizione cosiddetta “celtica” – i cui campioni sono i monaci irlandesi Brendano e Colombano – e quella “eremitica” di origine orientale, diffusa specialmente nel Meridione.

    Nei monasteri e nelle abbazie si conserva e si tramanda la cultura greca e latina, pagana e cristiana, grazie all’attività esperita negli scriptoria, cioè i luoghi, spesso comunicanti con ricche biblioteche, nei quali schiere di pazienti monaci amanuensi armati di punteruoli, righelli, penne e inchiostro copiano su pergamene manoscritti antichi e fabbricano libri.

    I monasteri sono anche oasi di valorizzazione del lavoro manuale, come ha spiegato il grande medievista francese Jacques Le Goff. Si strutturano cioè come attivi centri di produzione agricola e artigianale, attorno ai quali si organizzano vere e proprie aziende costituite da contadini e operai.

    Carla Vaudo, in 6 incontri, dedica il suo nuovo racconto alla scoperta di questi meravigliosi e antichi luoghi di preghiera, lavoro, cultura e potere, dove il Cielo si piegava ad incontrare la Terra.

  • Raccontato da Carla Vaudo

    Tra XI e XII secolo i profondi cambiamenti economici, politici e culturali dell’Europa occidentale coincidono in un altrettanto straordinario periodo artistico: IL ROMANICO.

    Malgrado le profonde diversificazioni tra le varie regioni e tra le diverse arti l’arte romanica viene generalmente considerata come un insieme unitario, diffuso e in una vastissima pluralità di centri, con scambi e influssi reciproci. All’aspetto sacrale dell’arte del primo Medioevo, subentra un nuovo interesse per la narrazione, nelle miniature, negli affreschi, nelle vetrate istoriate, nei capitelli dei chiostri e delle chiese. La scolastica porta a un’elaborazione intensa gli schemi dell’allegoria, nell’illustrazione dei manoscritti, nel disegno delle vetrate, nel programma dei portali e delle facciate, in cicli di affreschi e di sculture, nel disegno delle vesti liturgiche. Il patrimonio formale dell’Alto Medioevo si arricchisce di nuovi apporti, attraverso l’arte islamica e i contatti con l’arte bizantina. Al culto delle reliquie subentra quello delle tombe dei santi, favorendo la creazione di monumenti e di capolavori dell’oreficeria; si stabilisce un nuovo rapporto individuale fra il devoto e l’immagine di culto, che ne determina lo sviluppo nella pittura su tavola, nella statuaria, nell’oreficeria … Importanti le innovazioni tecniche, dallo studio delle volte, fondamento dell’architettura romanica, allo smalto e alla filigrana, al vetro, al bronzo, riscoprendo procedimenti dell’antichità.

    La rinascita dei nuclei cittadini, l’importanza della cattedrale come fondamentale centro urbano, le grandi testimonianze di una nuova espressione artistica nella scultura, nella pittura, nell’arte suntuaria, sono raccontati da Carla Vaudo, archeologa medievista, in 5 video-conferenze.

  • Raccontato da Carla Vaudo «Peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori della sua patria; in modo stretto non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di Sa’ Iacopo o riede. È però da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio dell’Altisimo: chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, la onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepoltura di Sa’ Iacopo fue la più lontana della sua patria che d’alcuno altro apostolo, chiamansi romei quanti vanno a Roma». Queste le parole con cui Dante, nella Vita Nuova, racconta di uno degli aspetti peculiari del Medioevo: la “peregrinatio ad loca sancta”. Il viaggio verso i luoghi santi rappresentò uno straordinario veicolo di trasmissione non solo di fede, ma anche di cultura e di tradizioni, oltre che di sviluppo economico. Il passaggio dei pellegrini rappresentò il motore che determinò la realizzazione di luoghi di ospitalità, chiese e cattedrali che rivaleggiavano in maestosità e splendore, e soprattutto si contendevano le reliquie più preziose, resti di corpi santi che attirassero i fedeli, alla ricerca di un segno tangibile della presenza del divino nel mondo. Ma se la meta era una sola, infiniti erano i percorsi con cui si poteva raggiungere. Per arrivare a Santiago di Compostela noi compiremo il cosiddetto Camino Francès, che dai Pirenei, dopo 800 km, ci porterà a varcare il Portico della Gloria della cattedrale di San Giacomo, e poi a bagnarci nelle acque del grande mare Oceano, in quel Finisterrae che ha rappresentato e ancora rappresenta per milioni di pellegrini, una fine ed un inizio. Incontreremo lungo il cammino monasteri, hospitalia, chiese e cattedrali, in un fiorire di bellezza e di vertigine, che rendevano gloria a Dio ma ancora di più all’uomo.
  • Raccontato da Carla Vaudo «Peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori della sua patria; in modo stretto non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di Sa’ Iacopo o riede. È però da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio dell’Altisimo: chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, la onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepoltura di Sa’ Iacopo fue la più lontana della sua patria che d’alcuno altro apostolo, chiamansi romei quanti vanno a Roma». Queste le parole con cui Dante, nella Vita Nuova, racconta di uno degli aspetti peculiari del Medioevo: la “peregrinatio ad loca sancta”. Il viaggio verso i luoghi santi rappresentò uno straordinario veicolo di trasmissione non solo di fede, ma anche di cultura e di tradizioni, oltre che di sviluppo economico. Il passaggio dei pellegrini rappresentò il motore che determinò la realizzazione di luoghi di ospitalità, chiese e cattedrali che rivaleggiavano in maestosità e splendore, e soprattutto si contendevano le reliquie più preziose, resti di corpi santi che attirassero i fedeli, alla ricerca di un segno tangibile della presenza del divino nel mondo. Ma se la meta era una sola, infiniti erano i percorsi con cui si poteva raggiungere. Per arrivare a Santiago di Compostela noi compiremo il cosiddetto Camino Francès, che dai Pirenei, dopo 800 km, ci porterà a varcare il Portico della Gloria della cattedrale di San Giacomo, e poi a bagnarci nelle acque del grande mare Oceano, in quel Finisterrae che ha rappresentato e ancora rappresenta per milioni di pellegrini, una fine ed un inizio. Incontreremo lungo il cammino monasteri, hospitalia, chiese e cattedrali, in un fiorire di bellezza e di vertigine, che rendevano gloria a Dio ma ancora di più all’uomo.
  • Raccontato da Carla Vaudo «Peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori della sua patria; in modo stretto non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di Sa’ Iacopo o riede. È però da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio dell’Altisimo: chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, la onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepoltura di Sa’ Iacopo fue la più lontana della sua patria che d’alcuno altro apostolo, chiamansi romei quanti vanno a Roma». Queste le parole con cui Dante, nella Vita Nuova, racconta di uno degli aspetti peculiari del Medioevo: la “peregrinatio ad loca sancta”. Il viaggio verso i luoghi santi rappresentò uno straordinario veicolo di trasmissione non solo di fede, ma anche di cultura e di tradizioni, oltre che di sviluppo economico. Il passaggio dei pellegrini rappresentò il motore che determinò la realizzazione di luoghi di ospitalità, chiese e cattedrali che rivaleggiavano in maestosità e splendore, e soprattutto si contendevano le reliquie più preziose, resti di corpi santi che attirassero i fedeli, alla ricerca di un segno tangibile della presenza del divino nel mondo. Ma se la meta era una sola, infiniti erano i percorsi con cui si poteva raggiungere. Per arrivare a Santiago di Compostela noi compiremo il cosiddetto Camino Francès, che dai Pirenei, dopo 800 km, ci porterà a varcare il Portico della Gloria della cattedrale di San Giacomo, e poi a bagnarci nelle acque del grande mare Oceano, in quel Finisterrae che ha rappresentato e ancora rappresenta per milioni di pellegrini, una fine ed un inizio. Incontreremo lungo il cammino monasteri, hospitalia, chiese e cattedrali, in un fiorire di bellezza e di vertigine, che rendevano gloria a Dio ma ancora di più all’uomo.
  • Raccontato da Carla Vaudo «Peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori della sua patria; in modo stretto non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di Sa’ Iacopo o riede. È però da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio dell’Altisimo: chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, la onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepoltura di Sa’ Iacopo fue la più lontana della sua patria che d’alcuno altro apostolo, chiamansi romei quanti vanno a Roma». Queste le parole con cui Dante, nella Vita Nuova, racconta di uno degli aspetti peculiari del Medioevo: la “peregrinatio ad loca sancta”. Il viaggio verso i luoghi santi rappresentò uno straordinario veicolo di trasmissione non solo di fede, ma anche di cultura e di tradizioni, oltre che di sviluppo economico. Il passaggio dei pellegrini rappresentò il motore che determinò la realizzazione di luoghi di ospitalità, chiese e cattedrali che rivaleggiavano in maestosità e splendore, e soprattutto si contendevano le reliquie più preziose, resti di corpi santi che attirassero i fedeli, alla ricerca di un segno tangibile della presenza del divino nel mondo. Ma se la meta era una sola, infiniti erano i percorsi con cui si poteva raggiungere. Per arrivare a Santiago di Compostela noi compiremo il cosiddetto Camino Francès, che dai Pirenei, dopo 800 km, ci porterà a varcare il Portico della Gloria della cattedrale di San Giacomo, e poi a bagnarci nelle acque del grande mare Oceano, in quel Finisterrae che ha rappresentato e ancora rappresenta per milioni di pellegrini, una fine ed un inizio. Incontreremo lungo il cammino monasteri, hospitalia, chiese e cattedrali, in un fiorire di bellezza e di vertigine, che rendevano gloria a Dio ma ancora di più all’uomo.
  • Raccontato da Carla Vaudo «Peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori della sua patria; in modo stretto non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di Sa’ Iacopo o riede. È però da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio dell’Altisimo: chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, la onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepoltura di Sa’ Iacopo fue la più lontana della sua patria che d’alcuno altro apostolo, chiamansi romei quanti vanno a Roma». Queste le parole con cui Dante, nella Vita Nuova, racconta di uno degli aspetti peculiari del Medioevo: la “peregrinatio ad loca sancta”. Il viaggio verso i luoghi santi rappresentò uno straordinario veicolo di trasmissione non solo di fede, ma anche di cultura e di tradizioni, oltre che di sviluppo economico. Il passaggio dei pellegrini rappresentò il motore che determinò la realizzazione di luoghi di ospitalità, chiese e cattedrali che rivaleggiavano in maestosità e splendore, e soprattutto si contendevano le reliquie più preziose, resti di corpi santi che attirassero i fedeli, alla ricerca di un segno tangibile della presenza del divino nel mondo. Ma se la meta era una sola, infiniti erano i percorsi con cui si poteva raggiungere. Per arrivare a Santiago di Compostela noi compiremo il cosiddetto Camino Francès, che dai Pirenei, dopo 800 km, ci porterà a varcare il Portico della Gloria della cattedrale di San Giacomo, e poi a bagnarci nelle acque del grande mare Oceano, in quel Finisterrae che ha rappresentato e ancora rappresenta per milioni di pellegrini, una fine ed un inizio. Incontreremo lungo il cammino monasteri, hospitalia, chiese e cattedrali, in un fiorire di bellezza e di vertigine, che rendevano gloria a Dio ma ancora di più all’uomo.
  • Raccontato da Carla Vaudo

    Una rete di abbazie e monasteri fiorisce in tutta Europa: sulle vette delle montagne, nelle vallate verdeggianti, sulle isole, nelle campagne, in prossimità delle città. Luoghi di spiritualità e di potere, garanti della forza inarrestabile della preghiera, centri di cultura e di elaborazione di nuove forme artistiche e architettoniche, a creare nel mondo un luogo a misura di Dio.

    A partire dal V secolo, da quando incomincia la lenta ma inesorabile chiusura del sipario sui fasti millenari dell’epopea di Roma, essi diventano piano piano imprescindibili punti di riferimento degli scenari in cui andranno giocandosi le nuove vicende religiose, culturali, politiche ed economiche del continente.

    L’Italia è la culla di un’esperienza cenobitica di suprema importanza per la storia d’Europa: quella iniziata da San Benedetto da Norcia (480-549), alla quale si affiancano la tradizione cosiddetta “celtica” – i cui campioni sono i monaci irlandesi Brendano e Colombano – e quella “eremitica” di origine orientale, diffusa specialmente nel Meridione.

    Nei monasteri e nelle abbazie si conserva e si tramanda la cultura greca e latina, pagana e cristiana, grazie all’attività esperita negli scriptoria, cioè i luoghi, spesso comunicanti con ricche biblioteche, nei quali schiere di pazienti monaci amanuensi armati di punteruoli, righelli, penne e inchiostro copiano su pergamene manoscritti antichi e fabbricano libri.

    I monasteri sono anche oasi di valorizzazione del lavoro manuale, come ha spiegato il grande medievista francese Jacques Le Goff. Si strutturano cioè come attivi centri di produzione agricola e artigianale, attorno ai quali si organizzano vere e proprie aziende costituite da contadini e operai.

    Carla Vaudo, in 6 incontri, dedica il suo nuovo racconto alla scoperta di questi meravigliosi e antichi luoghi di preghiera, lavoro, cultura e potere, dove il Cielo si piegava ad incontrare la Terra.

  • Raccontato da Carla Vaudo

    Tra XI e XII secolo i profondi cambiamenti economici, politici e culturali dell’Europa occidentale coincidono in un altrettanto straordinario periodo artistico: IL ROMANICO.

    Malgrado le profonde diversificazioni tra le varie regioni e tra le diverse arti l’arte romanica viene generalmente considerata come un insieme unitario, diffuso e in una vastissima pluralità di centri, con scambi e influssi reciproci. All’aspetto sacrale dell’arte del primo Medioevo, subentra un nuovo interesse per la narrazione, nelle miniature, negli affreschi, nelle vetrate istoriate, nei capitelli dei chiostri e delle chiese. La scolastica porta a un’elaborazione intensa gli schemi dell’allegoria, nell’illustrazione dei manoscritti, nel disegno delle vetrate, nel programma dei portali e delle facciate, in cicli di affreschi e di sculture, nel disegno delle vesti liturgiche. Il patrimonio formale dell’Alto Medioevo si arricchisce di nuovi apporti, attraverso l’arte islamica e i contatti con l’arte bizantina. Al culto delle reliquie subentra quello delle tombe dei santi, favorendo la creazione di monumenti e di capolavori dell’oreficeria; si stabilisce un nuovo rapporto individuale fra il devoto e l’immagine di culto, che ne determina lo sviluppo nella pittura su tavola, nella statuaria, nell’oreficeria … Importanti le innovazioni tecniche, dallo studio delle volte, fondamento dell’architettura romanica, allo smalto e alla filigrana, al vetro, al bronzo, riscoprendo procedimenti dell’antichità.

    La rinascita dei nuclei cittadini, l’importanza della cattedrale come fondamentale centro urbano, le grandi testimonianze di una nuova espressione artistica nella scultura, nella pittura, nell’arte suntuaria, sono raccontati da Carla Vaudo, archeologa medievista, in 5 video-conferenze.

  • Raccontato da Barbara Di Lorenzo La Gens Iulia è stata una delle più antiche e celebri famiglie patrizie romane, secondo la tradizione risalente alla Troia omerica, vantando la sua discendenza diretta da Iulo, il figlio di Enea e il fondatore della città di Alba Longa sui Colli Albani. La Gens Iulia fu una delle famiglie più illustri del periodo della Repubblica, i suoi membri ricoprirono la più alta magistratura, il consolato, per ben 29 volte, fino all'avvento dell’enorme figura storica di Gaius Iulius Caesar dictator, zio nonché padre adottivo di Ottaviano Augusto, il futuro primo imperatore di Roma. A partire da Cesare Augusto, il grande fondatore della Roma imperiale, tra il 27 a.C. e il 68 d.C. seguirono altri quattro imperatori della stessa dinastia giulio-claudia, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone. Le vicende della prima dinastia imperiale di Roma, l’ascesa e la decadenza, gli splendori e le nefandezze dei suoi famosi protagonisti maschili e femminili, sono raccontate da Barbara Di Lorenzo, in 5 video-conferenze.
  • Raccontato da Barbara Di Lorenzo La Gens Iulia è stata una delle più antiche e celebri famiglie patrizie romane, secondo la tradizione risalente alla Troia omerica, vantando la sua discendenza diretta da Iulo, il figlio di Enea e il fondatore della città di Alba Longa sui Colli Albani. La Gens Iulia fu una delle famiglie più illustri del periodo della Repubblica, i suoi membri ricoprirono la più alta magistratura, il consolato, per ben 29 volte, fino all'avvento dell’enorme figura storica di Gaius Iulius Caesar dictator, zio nonché padre adottivo di Ottaviano Augusto, il futuro primo imperatore di Roma. A partire da Cesare Augusto, il grande fondatore della Roma imperiale, tra il 27 a.C. e il 68 d.C. seguirono altri quattro imperatori della stessa dinastia giulio-claudia, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone. Le vicende della prima dinastia imperiale di Roma, l’ascesa e la decadenza, gli splendori e le nefandezze dei suoi famosi protagonisti maschili e femminili, sono raccontate da Barbara Di Lorenzo, in 5 video-conferenze.
  • Raccontato da Barbara Di Lorenzo La Gens Iulia è stata una delle più antiche e celebri famiglie patrizie romane, secondo la tradizione risalente alla Troia omerica, vantando la sua discendenza diretta da Iulo, il figlio di Enea e il fondatore della città di Alba Longa sui Colli Albani. La Gens Iulia fu una delle famiglie più illustri del periodo della Repubblica, i suoi membri ricoprirono la più alta magistratura, il consolato, per ben 29 volte, fino all'avvento dell’enorme figura storica di Gaius Iulius Caesar dictator, zio nonché padre adottivo di Ottaviano Augusto, il futuro primo imperatore di Roma. A partire da Cesare Augusto, il grande fondatore della Roma imperiale, tra il 27 a.C. e il 68 d.C. seguirono altri quattro imperatori della stessa dinastia giulio-claudia, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone. Le vicende della prima dinastia imperiale di Roma, l’ascesa e la decadenza, gli splendori e le nefandezze dei suoi famosi protagonisti maschili e femminili, sono raccontate da Barbara Di Lorenzo, in 5 video-conferenze.
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